FAI- Fondo per l’Ambiente Italiano a Cisternino
FAI- Fondo per l’Ambiente Italiano a Cisternino. COMPLESSO OSPEDALIERO DELL’EX CONVENTO E CHIESA DEI CAPPUCCINI A CISTERNINO
GIORNATE FAI DI PRIMAVERA 23 – 24 MARZO 2024
Progetto di educazione alla cittadinanza attiva Apprendisti Ciceroni®
Raccontiamo il nostro Territorio
LICEO DI CISTERNINO “DON Q. PUNZI”
- Accoglienza e presentazione FAI
Il FAI- Fondo per l’Ambiente Italiano è una fondazione nazionale, senza scopo di lucro, nata nel 1975 grazie ad un’idea di Elena Croce, figlia del grande filosofo idealista Benedetto Croce, e di Giulia Maria Crespi, per promuovere una cultura di rispetto e tutela della natura, della storia, delle tradizioni e del patrimonio italiano.
La Fondazione conta su più di 200.000 iscritti e si finanzia soprattutto con i fondi che arrivano da privati e che vengono destinati al restauro, alla conservazione e gestione di luoghi speciali e alla manutenzione ordinaria dei beni FAI.
Dall’anno della sua fondazione sino ad oggi il FAI ha salvato, restaurato e aperto al pubblico importanti testimonianze del patrimonio artistico e naturalistico italiano, anche pugliese. Il FAI, inoltre, attua ogni anno progetti educativi aperti alla partecipazione degli studenti, tra cui il progetto Apprendisti Ciceroni®, un’attività di formazione e orientamento nata nel 1996 e cresciuta negli anni, fino ad arrivare a coinvolgere circa 40.000 studenti ogni anno, di ogni ordine e grado.
Il motto del FAI “Si protegge ciò che si ama, si ama ciò che si conosce”.
Noi studenti del Liceo di Cisternino “don Quirico Punzi” abbiamo accolto con entusiasmo anche quest’anno la partecipazione al progetto Apprendisti Ciceroni® in occasione dell’evento promosso per le Giornate di Primavera FAI dalla Delegazione FAI di Brindisi che prevede la visita guidata dell’ex Convento dei Cappuccini, della Chiesa di Sant’Antonio e dell’Ospedale vecchio di Cisternino.
Inoltre, nell’ambito del progetto, abbiamo catalogato i beni mobili della chiesa e dell’ex convento elaborando schede identificative e descrittive degli oggetti di interesse storico e artistico.
- Storia dei cappuccini in Puglia
La riforma cappuccina
La “Riforma cappuccina” emerse nel XVI secolo come risposta ai fermenti di rinnovamento religioso promossi dal Concilio di Trento. Guidati da fra Matteo da Bascio, i frati desideravano seguire San Francesco d’Assisi nella povertà e nell’evangelizzazione itinerante, senza creare un nuovo Ordine, ma vivendo perfettamente la Regola francescana. Dopo l’approvazione papale nel 1526 e nel 1528, i frati poterono stabilirsi nell’eremo di Arcofiato nelle Marche e furono chiamati Cappuccini dal tipico cappuccio del saio che indossavano. Le prime Costituzioni dettate ad Albacina, sempre nelle Marche, fissarono i principi fondamentali della vita cappuccina: povertà, preghiera, silenzio, ricerca della solitudine e carità verso i bisognosi.
La venuta dei Cappuccini in Puglia
La diffusione dei Cappuccini in Puglia fu avviata da padre Tullio da Potenza che, da Roma, ebbe l’incarico dal vicario generale Ludovico da Fossombrone di intraprendere l’implantatio ordinis (l’insediamento dell’ordine) nelle regioni italiane meridionali. Iniziando da Rugge località del Salento, nel 1533 la presenza cappuccina si estese rapidamente in Puglia, Basilicata e Molise, grazie al lavoro di frati come padre Tullio da Potenza e padre Giacomo da Molfetta. Inizialmente furono istituite in Puglia due Province, quella di S. Nicola, detta anche di S. Nicolò o di Bari e quella di S. Angelo o di Foggia che comprendevano anche conventi nel territorio della Basilicata e del Molise, oltre che in Terra di Bari e di Otranto.
Nel 1560, la Basilicata divenne una Provincia autonoma, seguita nel 1590 dalla divisione della Puglia inferiore in Province separate. Le province pugliesi, dunque, divennero tre: Foggia, Bari e Otranto detta anche provincia di Santa Maria in finibus terrae. In soli 68 anni, dal 1533 al 1600, i Cappuccini fondarono 58 conventi in Puglia e in quest’arco temporale si distinguono tre periodi di espansione: il primo dal 1533 al 1540 guidato da Ludovico da Fossombrone, in cui le fondazioni dei conventi crebbero a un ritmo sostenuto; il secondo dal 1541 al 1565 segnato da un periodo di diminuzione delle fondazioni, che crebbero a un ritmo più lento; il terzo (1564-1600) caratterizzato da una ripresa delle fondazioni in concomitanza con la promulgazione dei decreti del Concilio di Trento dal 1564 al 1600.
Il numero maggiore di frati cappuccini si ebbe nel 1754, con 610 nella provincia di Otranto e 526 nella Terra di Bari. Per comprendere il ruolo dell’Ordine basti pensare che Alessandro Manzoni nei suoi Promessi Sposi per aiutare Renzo e Lucia sceglierà proprio un cappuccino, fra Cristoforo, personaggio chiave del romanzo, espressione di quel cattolicesimo militante celebrato dall’autore.
Dopo la parentesi delle soppressioni delle corporazioni religiose, quella napoleonica (1809-1811) e quella decretata dal Regno italico il 17 febbraio 1861, resa esecutiva con la legge del 7 luglio 1866, che cacciò i monaci dai loro conventi che divennero carceri, lazzaretti, case per i senza fissa dimora, ospedali, ricoveri per anziani, solo fra fine Ottocento e inizi Novecento ci fu una lenta ripresa delle province cappuccine pugliesi riunite nel 1908 con il titolo di Provincia di Bari- Lecce. Nel 1926 assunsero l’antico nome di Provincia di Puglia sotto il patrocinio di san Lorenzo da Brindisi.
La fondazione dei conventi
La fondazione dei conventi dei Cappuccini in Puglia ebbe diverse motivazioni e fu influenzata da vari fattori. Inizialmente, la presenza di predicatori itineranti e di frati di passaggio contribuì alla creazione delle prime dimore cappuccine, guidate da frati come fra Tullio da Potenza e fra Giacomo da Molfetta. La scelta dei luoghi per i nuovi insediamenti rispondeva a criteri specifici, come la facilità di sostentamento, la solitudine per la vita eremitica e la presenza di un orto conventuale. Gli episodi di fondazione furono spesso agevolati dall’atteggiamento favorevole dell’episcopato e dalle richieste delle autorità locali, dei capitoli delle cattedrali e dei singoli ecclesiastici. Anche i signori locali e le persone facoltose contribuirono finanziariamente e con il proprio lavoro alla creazione dei conventi. Questi insediamenti rispondevano a un desiderio comune di riforma dei costumi e di promozione della vita religiosa, considerando i Cappuccini come efficaci promotori di tale riforma.
Alla fine del XVI secolo avere un convento cappuccino era diventato un desiderio diffuso in tutti i centri abitati della regione, anche in quelli più piccoli. La presenza dei conventi cappuccini divenne così comune che praticamente ogni centro abitato di una certa consistenza economica in Puglia aveva il suo convento, spesso costruito ex novo o accanto a chiese preesistenti.
La tipologia dei conventi
La tipologia dei primi conventi cappuccini, sorti in Puglia nella prima metà del Cinquecento, era semplice, anche nella scelta dei materiali da costruzione come vimini, canne e fango. Le celle dei frati erano essenziali, con pochi arredi, mentre il refettorio e le officine erano organizzati intorno al chiostro. Le librerie dei conventi, presenti in una navata laterale o in una stanza ben illuminata, dette librarìa, erano piccole biblioteche. I libri erano utilizzati dalla comunità religiosa, spesso per la predicazione, e rappresentavano un importante patrimonio culturale. Con il tempo, i conventi furono ampliati per soddisfare esigenze apostoliche e di assistenza ai frati infermi. La presenza dei Cappuccini era richiesta dalle autorità ecclesiastiche e locali, e spesso i conventi venivano finanziati e supportati dalla comunità. La vita quotidiana dei frati era caratterizzata dalla preghiera, dallo studio e dall’apostolato, inclusa l’attività lavorativa e la predicazione.
Nel XIX secolo, la presenza dei Cappuccini subì un declino a causa di eventi storici e politici, ma alcuni conventi continuarono a essere centri di rinnovamento spirituale e di impegno sociale nella comunità locale.
- Storia dei cappuccini a Cisternino
Il Convento dei Frati Minori Cappuccini di Cisternino ricadeva nella Provincia di Bari. Venne “eretto secondo la povera forma cappuccina ad opera di alcuni frati e del popolo” nel 1596 insieme all’annessa chiesa dedicata a S. Antonio da Padova, lontano dall’ abitato un quarto di miglio circa come attesta un’inchiesta del 1650 sulla situazione dei conventi cappuccini nella Penisola. Era infatti pratica comune per i cappuccini trovare una sede in un luogo aperto lontano dalla vita movimentata del borgo. Il convento era dunque in aperta campagna, all’incrocio delle strade che collegano Cisternino con Ceglie Messapica e Ostuni; con l’espansione del paese nella seconda metà del ‘900, il complesso conventuale fu inglobato nel centro urbano. In una rappresentazione grafica del territorio di Cisternino riportata in una Platea della fine del Settecento, il convento è collocato lontano dall’abitato, ai piedi della collina su cui sorge il paese raccolto nelle mura medievali.
Dalla relazione sottoscritta il 2 febbraio 1650 dai tre frati incaricati dalla Santa sede di svolgere l’inchiesta, a cui abbiamo fatto prima riferimento, sullo stato materiale del convento, si apprende che esso poteva mantenere più di dodici frati. Era stato fondato col consenso della diocesi e dell’università e costruito con le loro elemosine e con le donazioni di diverse persone e devoti. Il convento aveva sedici celle e un orto; non possedeva entrate perpetue né temporali, né proprietà di beni stabili. A quel tempo vi abitavano cinque sacerdoti, un chierico e quattro laici che si sostentavano con le elemosine somministrate dalla pietà del popolo e delle terre circonvicine.
I rapporti tra i frati e i sacerdoti del Capitolo, che aveva sede nella chiesa matrice di S. Nicola, non furono sempre buoni. La richiesta da parte di alcuni frati di essere accolti nel Capitolo per assicurarsi migliori condizioni di vita, abbandonando l’ordine, fu quasi sempre respinta. Nel 1771 in una riunione capitolare fu deciso che nessun Cappuccino doveva essere accettato nel Capitolo o prendere l’abito ecclesiastico secolare perché non est bonum tòllere panem filiorum et dare Monacis (non è cosa buona togliere il pane dei figli e darlo ai monaci).
Il Settecento fu un secolo attivo per i Cappuccini di Cisternino: nell’elenco dei ministri provinciali figurano frate Giuseppe da Cisternino eletto 4 volte, nel 1722 nominato con decreto, 1724, 1728 e 1730, e frate Lodovico da Cisternino, eletto nel 1775.
Il 7 dicembre 1725 vi si tenne un Capitolo. Il 28 ottobre 1726 il vescovo di Monopoli Giulio Antonio Sacchi consacrò e dedicò la chiesa a Sant’Antonio da Padova, dietro le insistenti suppliche di padre Giuseppe Amati da Cisternino (il ministro provinciale che abbiamo già menzionato), come attesta la lapide all’interno della chiesa.
Fin dal 1774 il Fondo per il Culto raccoglieva vari lasciti e donazioni dei cittadini; all’inizio dell’800 il Convento diventò Opera pia (la Commissione amministrativa di beneficenza di Cisternino dal 1822 al 1862 ha amministrato le opere pie intitolate monte d’Aversa, d’Angiolla, d’Alessio e monte frumentario, nonché le rendite provenienti da donazioni delle confraternite del Santissimo Sacramento e del Rosario).
Abbiamo testimonianza da un libro di Don Quirico Vasta “77 carbonari a Cisternino” che alcuni frati cappuccini (i cui nomi sono: Padre Giacinto da Cisternino, Padre Giuseppe da Cisternino, Padre Giovanni Antonio da Fasano, Fra Pasquale da Cisternino e Fra Francesco da Noja) nel 1820 hanno partecipato alle attività̀ della Carboneria, istituendo una Vendita carbonara di 77 membri e portando avanti un sogno comune per la collettività̀. Scoperti, furono sospesi dalla celebrazione della messa, “rimanendo sotto la polizia ecclesiastica che fu vigile e tiranna quanto quella del Borbone”. Nel 1821, fallita la rivoluzione di Napoli, il Convento fu sede degli alloggiamenti austriaci. Il convento fu un centro religioso, culturale e assistenziale molto attivo fino alla sua soppressione nel 1861 a causa delle leggi eversive ottocentesche. Nel 1867 il convento fu abbandonato a causa della Legge Rattazzi (07-07-1866) che scioglieva gli ordini religiosi e poneva in liquidazione i loro beni.
Dal 1867 al 1980 il clero locale si occupò di assicurare presso la chiesa un servizio pastorale costante anche se non a livello parrocchiale. Solo nel 1980 fu istituita la parrocchia di “S. Giuseppe, sposo di Maria”, da cui la doppia intitolazione della chiesa a S. Antonio e S. Giuseppe. A partire dalla fine dell’Ottocento fino al 1982 importante fu l’operato delle suore, impegnate sia nella cura della chiesa che del convento divenuto ospedale; in particolare si ricordano le suore appartenenti alla congregazione religiosa della Carità di S. Vincenzo, dette suore d’Ivrea, città piemontese dove aveva sede la loro Casa Madre. - Descrizione esterno chiesa
Giardino con statua del Cristo Re
La chiesa presenta un ampio sagrato confinante con un giardinetto chiuso da una cancellata in ferro battuto dove su un alto basamento quadrangolare in pietra è collocata la statua di Cristo Re in atteggiamento regale avvolto da un ampio mantello, con globo nella mano sinistra e scettro nella destra, realizzata nel 1932, come si legge sulla lapide recante l’iscrizione ADVENIAT/ REGNUM TUUM/ (venga il tuo regno) e la data 30.10.1932.
Il giardino, su cui insistono alcune strutture edilizie riservate ad Associazioni di Volontariato come l’Avis, un tempo era molto più vasto. Faceva parte dell’orto conventuale ed è stato attivo fino alla presenza delle suore.
Il dott. Canzio (medico di Cisternino) ci ha raccontato che nasceva spontaneamente il papavero viola, Papaver somniferum, comunemente noto come papavero da oppio che le suore utilizzavano come papaia, per curare tosse, diarrea, per lenire le coliche intestinali nei lattanti e per tenere calmi i bambini irrequieti.
Da una riunione capitolare del 1696 si apprende che i Cappuccini dopo aver fatto richiesta al Capitolo di allargare il loro miserabile orto confinante con quello del clero, videro soddisfatta la loro richiesta dando in permuta un loro orto che avevano nel borgo. Dai registri dei Battesimi conservati in Chiesa Madre si ricava che nel Settecento c’era anche un cimitero nel quale di notte furono trovati dei neonati abbandonati, di cui si ignoravano i genitori, ai quali fu dato il cognome di Esposito ed Esposita.
Nel 1713 il Capitolo intentò una causa contro i Cappuccini di Cisternino perché non dovevano e non potevano fornire sepoltura ai secolari (i laici) nel loro convento.
Facciata e campanile
La chiesa presenta una facciata semplice, una scelta architettonica minimalista che rispecchia il progetto di vita dei Cappuccini votati alla povertà, fedeli interpreti del messaggio francescano.
Sulla facciata si aprono il portale in pietra, sormontato da un’edicola lunettata e decorato con specchiature e piccole mensole a volute che raccordano i piedritti all’architrave, e una finestra con una moderna vetrata decorativa che raffigura S. Antonio con il Bambino Gesù e trulli sullo sfondo.
Il portale è databile al XVII secolo, mentre la scalinata di accesso alla chiesa è probabile che sia stata realizzata nel XVIII secolo per analogie stilistiche con scalinate di edifici settecenteschi. Probabilmente il fronte della chiesa originariamente era a capanna, tipologia comune a molte chiese cappuccine, se consideriamo realistica l’immagine rappresentata nella platea settecentesca.
Osserviamo anche la presenza di ampie finestre da cui la luce si riversa all’interno della chiesa; convogliata verso l’altare maggiore, la luce conduce l’occhio del fedele, i suoi pensieri e i suoi passi verso la potenza divina, localizzata nel tabernacolo.
Sulla sommità della chiesa svetta un campanile a vela che presenta una forma rettangolare impostato su due pilastrini, sormontato da un timpano spezzato con cornice aggettante con due pinnacoli ai lati e una croce al centro. Il vano per la campana è ricavato sotto un archetto a tutto sesto. Il campanile è visibile dalla strada adiacente all’ospedale.
- Descrizione interno chiesa
Interventi di restauro
La chiesa e il convento hanno subito nel corso degli anni diversi rifacimenti.
L’impianto architettonico della chiesa attuale è databile al XVII e XVIII secolo. Alcuni particolari costruttivi sia all’esterno che all’interno dell’edificio, presentano analogie stilistiche con quelli di altri edifici di culto secenteschi presenti a Cisternino. Anche gli arredi più antichi all’interno sono databili tra il Seicento e il Settecento.
Importanti interventi furono realizzati nell’Ottocento e nel Novecento con la sistemazione di nuovi altari nelle cappelle, dell’altare maggiore e dell’edicola con la statua della Madonna Immacolata nel presbiterio.
Nel 1972 furono aggiunti alla chiesa nuovi corpi di fabbrica. Nel 1997 fu concluso il restauro progettato nel 1994 con l’attuazione di interventi di consolidamento strutturale e di rifacimento dell’intonaco; fu inoltre sistemato un nuovo altare al centro del presbiterio e fu smantellato l’altare in marmo, che era addossato alla parete di fondo, ancora visibile nelle foto degli anni Ottanta.
Inoltre fu rimosso il rivestimento pittorico degli altari presenti nelle cappelle.
Pianta, lapide sulla controfacciata e cappelle sulla parete sinistra
La chiesa si compone di una navata centrale realizzata nel XVII secolo e di una navata laterale aggiunta a destra probabilmente nel XVIII secolo. La navata centrale è coperta da due volte a crociera chiuse con conci di chiavi scolpiti con segni grafici e motivi fitomorfi. Sulla controfacciata è collocata la lapide con un’iscrizione che documenta un evento importante per la storia della chiesa e della comunità di Cisternino. Il 28 ottobre 1726, dietro le insistenti suppliche di padre Giuseppe Amati da Cisternino, si celebrò un solenne rito presieduto dal vescovo di Monopoli Giulio Antonio Sacchi, il quale dopo aver riposto nell’altare maggiore le reliquie dei santi Crescenzio, Gaudenzio, Tranquillo e Urbano, consacrò e dedicò la chiesa a Sant’Antonio da Padova, in presenza del Capitolo e del popolo, a cui concesse quaranta giorni di indulgenze.
Sulla parete sinistra della navata si aprono tre cappelle delineate da arcate dove trovano posto altrettanti altari in pietra scolpita. Durante i lavori di restauro della chiesa conclusi nel 1997 è stato rimosso il rivestimento pittorico, ancora visibile nelle immagini delle schede di catalogo della Soprintendenza di Bari nel 1993.
Sull’ altare della prima cappella, databile alla metà del XIX secolo – presumibilmente nel 1855 – è collocata una recente statua di Padre Pio (frate cappuccino di Pietrelcina, morto a San Giovanni Rotondo nel 1968) che ha sostituito una tela tardo secentesca raffigurante Sant’ Antonio Abate e San Pasquale Baylon in adorazione di Gesù Sacramentato.
Il secondo altare, sempre di fattura ottocentesca, è dedicato a San Francesco ispiratore dell’Ordine cappuccino; sull’ ultimo gradino è collocata la statua del santo, in cartapesta, realizzata nel secolo scorso e restaurata nel 1997 ca.
Il terzo altare databile tra il XVII e il XVIII secolo era dedicato a San Lorenzo martire raffigurato in una tela, poi rimossa, perché molto deteriorata e attualmente conservata nella casa parrocchiale in attesa di restauro. L’altare in pietra intonacata e stucco presenta nella parte bassa un paliotto rettangolare ornato centralmente da un elemento decorativo a rilievo (l’occhio di Dio in un triangolo inscritto in una corona di 12 stelle e all’esterno una ghirlanda con due fasci incrociati quadripartiti). Segue una mensa aggettante e due gradoni privi di decorazione. Sull’altare ha trovato posto una recente statua in cartapesta di San Giuseppe che regge con il braccio sinistro il Bambino e con la mano destra stringe la verga fiorita. In alto si apre una finestra con una vetrata decorata con l’immagine del santo nei panni di falegname insieme a Gesù, realizzata nel 1997.
Cappelle navata laterale destra
La navata laterale destra è suddivisa in tre campate coperte da volte a crociera con due conci di chiave scolpiti a motivi fitomorfi e un terzo recante l’iscrizione INRI (Iesus Nazarenus Rex Iudeorum).
Nella prima campata è collocato un altare in pietra scolpita; prima dei restauri del 1997 l’altare era dipinto, oggi solo il tabernacolo, di gusto neoclassico, conserva il rivestimento pittorico. Sul paliotto è incisa la data 1855 che costituisce il termine di riferimento per datare anche gli altri altari ottocenteschi presenti nella chiesa.
Sull’altare è collocato un dipinto raffigurante S. Felice da Cantalice, al secolo Felice Porri, che entrò a far parte dei frati cappuccini nel 1543 e fu noto per la sua pietà e il soccorso prestato ai bisognosi; compì anche dei miracoli e fu canonizzato nel 1712 da papa Clemente XI.
È indicato come “il santo dei fanciulli”. Secondo una leggenda un giorno, pregando davanti a un dipinto della Madonna (alla quale era devotissimo), la implorò di fargli tenere in braccio il Bambinello. Il quadro si animò e la Madonna porse al frate Gesù Bambino: piangendo il frate lo strinse a sé. San Felice nell’iconografia è infatti rappresentato con il Bambino Gesù tra le braccia; nel dipinto il santo regge anche il giglio, simbolo di purezza. Sullo sfondo si scorge un paesaggio rurale, mentre in alto volteggiano dei cherubini. La tela, databile tra l’ultimo quarto del Seicento e il primo quarto del Settecento, è stata recentemente restaurata.
Nella seconda campata è collocato l’altare ottocentesco del Sacro Cuore di Gesù. Sull’ altare un’edicola chiusa da una vetrina accoglie la statua di Cristo in cartapesta databile alla seconda metà del XIX secolo. Il Cristo con una mano indica il cuore palpitante al centro del petto. Sul tabernacolo in marmo, di fattura recente, è stata reimpiegata una lamina in metallo sbalzata con cherubini e simboli eucaristici (XIX sec.).
Nella terza campata è collocato l’altare dedicato a S. Antonio da Padova.
La statua del santo in cartapesta dipinta, posta in una nicchia, è stata commissionata nel 1974 “a devozione del prof. Leonardo Oliva e sorella” come si legge sulla base. Il santo è rappresentato con i suoi attributi: il libro, ad indicare la profonda conoscenza della scrittura, il giglio, simbolo di purezza e castità; il Bambino Gesù che allude alla visione che il santo ebbe prima di morire.
Ai lati della nicchia sono presenti due colonne tortili decorate a rilievo con motivi vegetali, sormontate da capitelli compositi. Un’alta trabeazione con un fregio scolpito a motivi floreali chiude la cona; nel 1993 era sormontata da un timpano spezzato con al centro uno scudo coronato con l’emblema francescano dell’albero della vita, riprodotto anche sul paliotto dell’altare in pietra sottostante. L’altare, il più antico e il più pregevole tra quelli presenti nella chiesa, è databile tra la fine del XVII e il primo quarto del Settecento.
L’altare doveva avere probabilmente un’altra collocazione, in quanto si osservano dei tagli agli angoli del fastigio realizzati per far rientrare l’altare sulla parete.
Presbiterio
Un ampio arco a tutto sesto con al centro un grazioso cherubino in stucco segna l’accesso al presbiterio.
Notiamo un crocifisso con il Cristo in cartapesta che ha i capelli in lana, cosa alquanto singolare; è databile al XIX secolo, mentre la croce è recente. L’area presbiteriale ha subito varie modifiche. È stata rimossa la balaustrata che separava il presbiterio dalla navata. Ai lati restano dei frammenti che probabilmente facevano parte dell’antica recinzione (due balaustri sono conservati nella sacrestia). L’altare maggiore, che era stato completamente ricostruito in marmo nel 1958 ad opera della superiora suora A. D’Esposito, è stato smantellato durante i lavori di restauro degli anni Novanta. Sullo sportello del tabernacolo collocato sulla parete è posto un medaglione in bronzo con la croce delle indulgenze del giubileo pontificio di Papa Leone XIII del 1901.
Sulla stessa parete si apre un’edicola che ospita al centro la statua della Madonna Immacolata in pietra dipinta commissionata dalle Suore di Ivrea, ritornate a Cisternino nel 1917 dopo 12 anni di assenza a causa di incomprensioni con il clero locale.
Prima del restauro svolto negli anni Novanta l’edicola era contornata dalla seguente iscrizione: Concepita senza peccato pregate per noi che a voi ricorriamo. Nel presbiterio sulla parete sinistra si apre un matroneo collegato con il convento, oggi ospedale, da cui le suore, qui insediate dalla fine dell’Ottocento, assistevano alle funzioni religiose.
Sono presenti inoltre due dipinti databili tra il XVII e il XVIII secolo: uno raffigura San Biagio in abito vescovile che mostra un pettine per cardare la lana, simbolo del suo martirio.
San Biagio o San Biagio di Sebaste fu un vescovo cristiano che visse tra il III e il IV secolo a Sebaste nell’attuale Armenia in Asia Minore. Il santo è venerato sia dalla Chiesa cattolica che lo celebra il 3 febbraio sia dalla Chiesa ortodossa.
Biagio di professione era medico e venne nominato vescovo della sua città. Durante una persecuzione fu gettato in carcere dai Romani. Nel corso del processo che ne seguì, rifiutò di rinnegare la fede cristiana. Venne condannato ad un supplizio atroce in quanto fu straziato con i pettini di ferro, che si usano per cardare la lana. Il santo è tradizionalmente invocato come protettore della gola, è anche protettore dei cardatori.
L’ altro dipinto rappresenta San Cataldo, anche lui vescovo. Nato in Irlanda all’inizio del secolo VII, dopo essere stato monaco e poi abate, nel 670 fu ordinato vescovo e in seguito si recò a visitare la Terra santa e qui, secondo una leggenda, gli sarebbe apparso Gesù che gli avrebbe detto di andare a Taranto e di rievangelizzare la città ormai in mano al paganesimo.
San Cataldo allora giunse a Taranto fece abbattere i templi pagani, dove morì e fu sepolto, come era stata sua volontà, sotto il pavimento del duomo. Il 10 maggio ricorre la festa di Cataldo, patrono di Taranto.
Viene invocato contro le guerre, le epidemie e la morte improvvisa. A San Cataldo è dedicata la chiesa collocata nel borgo di Cisternino, luogo in cui svolge anche il culto di S.Biagio.
Sacrestia
Nell’ambiente retrostante l’altare maggiore c’è un coretto in legno dipinto con motivi vegetali databile al XVIII secolo; i sedili degli stalli sono stati rimossi perché fatiscenti (nella foto della soprintendenza erano ancora visibili).
Nel coro i frati si riunivano in preghiera rivolti verso la parete posta di fronte dove una nicchia ricavata nel muro ospitava un tabernacolo non più esistente. La nicchia è decorata con pitture murali databili alla prima metà del XVIII secolo: angeli e cherubini circondano un calice raggiato sormontato da un’ostia, simboleggiante il Santissimo Sacramento.
Sullo stesso muro è collocata una piccola acquasantiera recante la data 1748 e l’emblema dei frati Cappuccini: il braccio di Gesù e di san Francesco intrecciati attorno alla croce.
Nella stanza del coro è conservata una pregevole campana in bronzo che reca la data 1595, coeva alla fondazione della chiesa e del convento. Presumibilmente è stata rimossa dal campanile a vela collocato sulla chiesa e sostituita con una campana più nuova. Sul ventre della campana sono applicate delle placchette, piccoli bassorilievi in bronzo raffiguranti soggetti sacri: Gesù crocifisso, la Vergine con il Bambino, San Giovanni Battista e un altro santo probabilmente Sant’Antonio Abate.
La fascia superiore vicino alla maniglia è decorata con motivi fitomorfi. Un cartiglio a rilievo contiene un’iscrizione “ZAN BATISTA T(?)ONF” forse il nome del fonditore.
Tra la suppellettile più recente si conservano in sacrestia una croce d’altare del XIX secolo, due quadri del secolo scorso raffiguranti San Giuseppe di cui uno è una stampa e l’altro un dipinto su tela.
Nell’altro ambiente che compone la sacrestia si conservano un singolare armadio a muro in legno intagliato e dipinto a colori vivaci e un paratoio per riporre gli abiti religiosi, databili tra il XVII e il XVIII secolo.
L’armadio presenta quattro colonnine con capitelli corinzi, quelle centrali sono coronate da un timpano spezzato con al centro un fastigio a volute;
le ante sono decorate con cornici a rilievo dove sono state collocate immagini sacre di santi e Madonne, ma non manca una vecchia foto di Pio IX (papa dal 1846 al 1878).
Manufatto pregevole è una croce databile tra il XVII e il XVIII secolo con struttura in legno impiallacciato e dorato con bracci in vetro decorato con motivi vegetali e teschi; la croce è protetta da un profilo di metallo argentato. All’ incrocio dei bracci una piccola teca, chiusa da sigilli in ceralacca agli angoli, racchiude le reliquie della Vera Croce.
Nella sacrestia si conservano anche un ostensorio e un calice del XVIII secolo in argento sbalzato e cesellato insieme a suppellettili più recenti, databili al XIX e XX secolo come una campanella e un candelabro d’altare, una navicella portaincenso, un turibolo e un secchiello con aspersorio.
- Descrizione del chiostro dell’ex Convento Chiostro e pozzo
Il convento divenuto ospedale ha subito notevoli trasformazioni. Dal cortile dell’ospedale si accede al chiostro quadrangolare porticato, dove è collocato al centro il pozzo. In alto si aprono le finestre delle antiche celle dei monaci. Originariamente era un luogo di preghiera e silenzio, ricerca della solitudine e carità verso i bisognosi.
Le celle dei frati erano semplici, con pochi arredi, mentre il refettorio e le officine erano organizzati intorno al chiostro. Sulle pareti potete notare che l’area è interessata da saggi di restauro. Da una scala si accede al piano superiore; una traccia dell’antico convento è un frammento di corrimano.
Nel tempo il convento ha subito varie trasformazioni architettoniche e ha cambiato anche la sua destinazione d’uso: Opera Pia Ospedale Ricovero ottocentesco, Congregazione di Carità, Ente Comunale di Assistenza, Ente ospedaliero, asilo infantile, alloggio delle suore, Ospedale di lungodegenza fino agli anni del Covid.
Pane di Sant’Antonio e antiche tradizioni
In alcune chiese francescane o, comunque, legate particolarmente a sant’Antonio, il giorno della sua festa (13 giugno) si è soliti benedire dei semplici piccoli pani, che poi vengono distribuiti ai fedeli e consumati per devozione.
Tale devozione deriva certamente dall’iniziativa del “pane dei poveri” che nel passato era molto viva e diffusa nelle chiese ed è legata alla riconoscenza popolare verso il Santo così prodigo di consigli, aiuto e grazie.
Basti ricordare del miracolo di Tommasino. Il piccolo Tommasino, di soli due anni, figlio di buoni genitori che abitavano proprio vicino alla chiesa del Santo, un giorno, giocando vicino ad un recipiente d’acqua cadde dentro e annegò.
Trovato il figlio senza vita, la madre non si rassegnò, ma si affidò a Sant’Antonio e fece voto di distribuire ai poveri tanto grano quanto era il peso del bambino, se fosse ritornato in vita. Passarono ore e la donna continuò a pregare e ad invocare il Santo finché il bimbo morto ritornò in vita! La promessa fu mantenuta e da allora la devozione a Sant’Antonio incominciò a diffondersi, attraverso la distribuzione del pane ai poveri.
Questa tradizione ruota intorno ad un elemento essenziale e quotidiano, ricco di significato. Da sempre il pane è un alimento che coinvolge i nostri sensi. Il profumo del pane appena sfornato, i suoi diversi sapori, le sue infinite forme e innumerevoli consistenze, il rumore più o meno croccante del pane spezzato e condiviso. Davvero il pane è l’alimento fondamentale per vivere, un bene prezioso necessario, al punto che parliamo del lavoro come di “guadagnarsi il pane”, proprio perché “senza pane si muore”.
A Cisternino il culto per S. Antonio fa Padova è stato sempre molto sentito e furono proprio i Cappuccini a diffonderne la devozione. In onore del santo il 13 giugno si svolgeva una solenne processione e veniva benedetto il pane di S. Antonio, acquistato con le offerte dei fedeli. La festa fu organizzata fino al 1948; sospesa per 44 anni fu ripristinata nel 1992 insieme alla tradizione del pane benedetto. Oggi in occasione della festa di S. Antonio si svolge nel paese una fiera.
Ricetta
Ingredienti:
Farina 300 g
Acqua q. b.
Olio d’oliva q. b.
Sale q. b.
Lievito di birra q. b.
Preparazione: Disporre sulla spianatoia la farina a fontana, il sale, e nell’incavo versate l’acqua, il lievito e un filo d’olio. Impastate a lungo e aggiungere gradualmente l’acqua, poi formate una grossa palla copritela con un tovagliolo e mettetela in un posto caldo e asciutto. Dopo circa due ore l’impasto avrà raddoppiato il suo volume. A questo punto formate dei panini di forma allungata ricoprite con un panno e lasciate lievitare per 20 minuti circa. Cuocete in forno caldo a 180°.
- Descrizione dell’Ospedale e dell’ex Convento
Scalinata celle del Convento
Grazie alla disponibilità del Direttore sanitario del Distretto ASL Brindisi Dott. Giuseppe Pace oggi sono eccezionalmente aperti anche i luoghi storici dell’ex Convento e potremo visitare l’accesso sopraelevato del coretto riservato alle suore, l’accesso all’archivio storico e alcuni luoghi dell’Ospedale Vecchio di Cisternino.
Saliremo le antiche scale che portavano alle antiche celle, poi divenute stanze di ospedale: notate l’antico passamano in pietra, scolpito e scanalato.
Storia dell’Ospedale di Cisternino
Ci troviamo, dunque, in un luogo di grande interesse storico e sociale poiché l’intera area è importante per comprendere la storia socio-assistenziale di Cisternino e lo sviluppo dell’ospedale vecchio, a partire dall’Ottocento. L’ospedale nacque agli inizi dell’1800, come opera pia, con lo scopo di fornire medicinali gratuiti agli infermi poveri di Cisternino e di celebrare una messa di gloria.
Con il decreto reale del primo re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoia il 10 luglio 1864 l’ex convento divenne sede di una Congregazione di Carità che continuava ad amministrare quattro opere pie intitolate monte d’Aversa, d’Angiolla, d’Alessio e monte frumentario nonché le rendite provenienti da donazioni delle confraternite del Santissimo Sacramento e del Rosario.
Il Consiglio di amministrazione, con un presidente e quattro membri nominati dal Consiglio municipale, si riuniva in seduta ordinaria una volta ogni quindici giorni e le opere pie amministrate dalla Congregazione di Carità contribuivano al mantenimento dell’ospedale, pagando anche lo stipendio al personale salariato.
Il Regio Decreto del re Umberto I del 1883 lo trasforma in Ospedale-ricovero, un “mendicomio” per la cura di infermi affetti da malattie acute, il ricovero di vecchi inabili bisognosi e privi di assistenza e il sussidio a domicilio ai poveri inabili del comune.
Con delibera del 4 luglio 1897 la Congregazione di carità dispone il concentramento delle confraternite del Santissimo Sacramento, del Purgatorio e del Rosario, nella Congregazione stessa. Viene approvato nel 1902 lo statuto e nel 1912 un nuovo regolamento organico degli impiegati e dei salariati.
La pianta organica, viene approvata nel 1914, con 11 dipendenti (un medico, tre suore, un cappellano, un infermiere-portinaio, un inserviente, un domestico, un segretario, un tesoriere, un barbiere).
Nel 1937, in pieno ventennio fascista è istituito l’E.C.A. Ente Comunale Assistenza (con la legge 03-06-1937 n. 847), a cui passa la gestione dell’ospedale-ricovero con soppressione delle Congregazioni di carità.
Il podestà, con delibera del 1 luglio 1938, nomina la Commissione straordinaria composta dallo stesso podestà in qualità di presidente, da un rappresentante del fascio e da un rappresentante della segreteria del fascio femminile (Il podestà conserva la presidenza dell’ente fino alla caduta del fascismo).
Con decreto prefettizio il 4 gennaio 1939 l’ospedale è classificato come infermeria mista per malati acuti e cronici con un nuovo regolamento di amministrazione.
Con decreto ministeriale del 12 agosto 1957, viene approvato lo statuto del 2 giugno 1955 che prevedeva, al titolo 9, che l’ente fosse gestito da un Consiglio di amministrazione composto da nove persone.
Nello stesso decreto ne viene, inoltre, ratificato il patrimonio in £ 9.928.933. Nonostante, nel 1937, il podestà, in qualità di presidente dell’EC.A, avesse richiesto il decentramento dell’amministrazione dell’Ospedale dal suddetto ente, producendo il quadro della situazione patrimoniale dell’Ospedale stesso, la situazione rimase invariata e con delibera del 2 giugno del 1955 venne riconfermato il concentramento nell’ECA dell’Ospedale ricovero.
Nel 1968 diventa Ente pubblico ospedaliero con legge del 12 febbraio e come tale riconosciuto dalla Regione Puglia (con decreto n. 52 del 3-05-1972). In tale periodo il Consiglio di Amministrazione dell’Ente pubblico ospedaliero ampliò e ristrutturò l’ex convento per adeguarlo alle nuove funzioni.
Dal 1° aprile 1981 diventa Presidio ospedaliero dell’U.S.L. BR/1 come da Legge 833/1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale.
Fu riconvertito in LDPA (Lungo Degenza) a seguito della Legge Finanziaria (n.724/1994) che imponeva la disattivazione o la riconversione degli ospedali con dotazione minima inferiore a 120 posti letto.
Il 2 febbraio 2012 è riconvertito in Presidio Territoriale per la Gestione delle Cronicità con del. n. 215. D.G. ASL BR con associato Ospedale di Comunità già attivo dal 2000 (primo del Meridione). Oggi continua a fornire servizi ambulatoriali.
Madonnina (lettera di una bambina nipote di un malato).
Ci troviamo nel cuore dell’ex ospedale vecchio, nelle mura che furono celle dei monaci prima e stanze della malattia, speranza e guarigione dopo. Sotto la statuina della Madonnina il dottor Canzio ha trovato una letterina anonima scritta da una bambina che rende la sofferenza e speranza nella guarigione di questo luogo e vogliamo leggervela.
“Cara Madonnina, ti scrivo questa letterina perché vorrei chiederti un favore. Fai stare bene tutti i malati di questo ospedale e di tutti gli ospedali del mondo! Vorrei anche che facessi star bene anche il mio nonnino, che sta soffrendo tanto. Lui per la malattia che ha non sta molto bene e adesso ha anche la febbre. Sai com’è andata, vero? Ti prego, accetta questa letterina. Forse ti sto chiedendo molto, ma ti prego esaudisci questi miei unici desideri. Voglio che nonno parli, dica qualcosa e cammini un po’ almeno. Mi fa davvero pena guardarlo così, non parla, non dice niente. Adesso ti saluto e ti mando un bacio grande. Firmato una bambina”.
Di fronte le vecchie celle del convento, la stanza della Superiora delle Suore.
Nel reparto donne riceveva il dottor Nicola Lagravinese di cui vi parleremo più avanti.
Biblioteca dei monaci, archivio amministrativo sanitario e coretto
Da questa scala si accede ad un piano sottotetto parzialmente praticabile, l’ex biblioteca del convento, oggi archivio storico amministrativo e sanitario dell’Ospedale e deposito.
Il convento dei Cappuccini di Cisternino aveva una biblioteca in una stanza ben illuminata del piano superiore, detta librarìa, con ben 3000 volumi ottenuti da benefattori, come compenso per servizi resi o acquistati con fondi conventuali. Questi libri erano utilizzati dalla comunità religiosa, spesso per la predicazione, e rappresentavano un importante patrimonio culturale utilizzato anche per la formazione di molti giovani locali (ad es. il giovane Marco Agnello de Alexio prima di diventare arciprete). L’archivio dei monaci è rimasto in questa sede fino al 1963, quando è stato trasferito, prima nella chiesa del Purgatorio, poi nella Chiesa Madre ed infine nella sagrestia della Chiesa di San Quirico.
In questa sede oggi sono conservati documenti amministrativi e sanitari che vanno dal 1800 alla fine del ‘900, quando la documentazione dell’ECA (Ente Comunale di Assistenza) di Cisternino è stata versata all’Archivio di Stato di Brindisi, poi riordinata e censita dalla soprintendenza archivistica di Bari ed è disponibile anche online.
La parte più antica dell’archivio amministrativo contiene la documentazione prodotta dalla Congregazione di carità di Cisternino (che riuniva le opere pie storiche di Cisternino, i Monti d’Alessio, d’Aversa, Angiolla ed Elemosinario e le confraternite del Santissimo
Sacramento, del Purgatorio e del Rosario). Ci sono Inventari storici dei beni immobili e dei titoli patrimoniali di lasciti donati da cittadini come Devitofranceschi Antonietta (1854) e D’Amico Francesco (1917).
L’archivio sanitario invece contiene la documentazione prodotta dall’Ospedale civile, dall’Ente comunale di assistenza, dalla Commissione amministrativa le delibere della Casa di Riposo-Mendicomio S. Francesco (dal 1973), le cartelle cliniche dei pazienti, statini di presenza del personale, ad es. dal 1942 il registro degli assistiti di guerra, Fascicoli degli invalidi di guerra, dei partigiani assistiti, degli sfollati, dei profughi, dell’assistenza agli hanseniani.
Reparti dell’Ospedale vecchio la montagna il coretto delle suore
Le celle destinate ai frati nel tempo hanno accolto gli ambulatori, i reparti di pediatria, diabetologia, ginecologia, ostetricia. Visiteremo la zona in salita detta Montagna e la sala operatoria di celebri dottori cisterninesi come Nicola Lagravinese, Raffaele Semeraro e Vincenzo Lino.
Dal corridoio accediamo ad un ambiente riservato alle suore, il cosiddetto coretto, dal quale le suore potevano assistere alla cerimonia religiosa.
Scendiamo da un’altra scalinata storica che ci permette di accedere alla zona dell’Ospedale nuovo.
Attuale radiologia ex asilo Sant’Antonio
Al piano terra, dove oggi c’è il servizio della radiografia ha avuto sede uno degli asili comunali più antichi, istituito con delibera della Congregazione di carità e approvata dalla Prefettura di Bari il 9 settembre del 1922. L’asilo Sant’Antonio era amministrato dall’ospedale di Cisternino, al suo mantenimento vi concorrevano le confraternite del Santissimo Sacramento, del Rosario, del Purgatorio ed eventualmente anche lo Stato, la Provincia ed altri enti pubblici. Fine principale dell’ente era l’istruzione dei bambini poveri, accettati secondo il seguente ordine: orfani di entrambi i genitori, orfani di un genitore, trovatelli, fanciulli poveri con genitori. Nelle fonti del SIUSA (Sistema Unificato per le Soprintendenze Archivistiche) risulta attivo fino al 1951, ma da racconti orali sappiamo che è stato attivo fino agli anni ’60.
Da qui usciamo nuovamente nel chiostro e raggiungiamo l’ingresso attuale dell’ex Pronto Soccorso per completare il nostro itinerario davanti al busto dell’illustre dott. Nicola Lagravinese.
- Descrizione cortile dell’Ospedale
Busto del dottor Nicola Lagravinese
Terminiamo il percorso davanti al busto del dottor Nicola Lagravinese, eretto il 25 ottobre 1981, nel decennale della sua morte, avvenuta il 10 aprile 1971.
Nicola Lagravinese, medico e politico italiano, nacque a Cisternino il 16 giugno 1883. Si laureò in Medicina all’Università degli studi di Napoli nel 1908 specializzandosi in chirurgia. Durante la Prima guerra mondiale prestò servizio presso l’Ospedale Principale di Venezia S. Chiara, col grado di tenente e poi di capitano.
Qui conobbe e curò il celebre poeta Gabriele D’Annunzio al quale fu legato da una lunga amicizia e con cui ebbe uno scambio epistolare. Terminata la prima guerra mondiale, rientrò a Cisternino. Dal 1919 al 1922 fu a Parigi per seguire corsi di specializzazione. Dopo la parentesi parigina, tornò in Italia prestando servizio in vari ospedali pugliesi tra cui Cisternino dove ancora oggi molti lo ricordano come eccellente medico, rinomato per le sue competenze diagnostiche e per prestare a tutti le sue cure senza distinguere se i pazienti fossero benestanti o indigenti.
Nel 1962 fece scalpore la notizia che si era operato da solo all’ernia inguinale.
Fu un umanista e un grande conoscitore della storia; amò anche molto gli animali, in particolare i cani chihuahua furono la sua passione, al punto che presso la masseria Termetrio, proprietà dei Lagravinese nella campagna di Cisternino, sistemò sotto un abete il cimitero degli animali che tanto amò, collocando delle piccole lapidi a ricordo.
Al Referendum istituzionale del 1946, sostenne la monarchia e, nelle contemporanee elezioni, venne eletto deputato all’Assemblea Costituente per la lista dell’”Uomo Qualunque” nella circoscrizione di Bari-Foggia. Quindi fu uno dei Padri costituenti insieme al fratello Pasquale, avvocato, a cui è intitolata la piazzetta nei pressi dell’ospedale.
Gli interventi più significativi in qualità di parlamentare furono: la richiesta di accesso agli esami di laurea per gli studenti sprovvisti di documenti in seguito agli eventi bellici; la richiesta di assegnazione di materiale sanitario agli ospedali di Puglia. Il palazzo della famiglia Lagravinese è nel centro storico: una lapide qui collocata ricorda Nicola e Pasquale insieme ad un terzo fratello e a due sorelle nubili.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
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https://it.wikipedia.org/wiki/Ordine_dei_frati_minori_cappuccini
Sugli Ordini Cappuccini in Puglia
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ALFREDO DI NAPOLI, I cappuccini in Salento. Testimoni e apostoli di misericordia (secoli XVI-XVII), in L’IDOMENEO (2016), n. 22, pp. 61-78 – Miserere nobis: aspetti della pietà religiosa nel Salento moderno e contemporaneo. Atti del convegno di studi Università del Salento Lecce
https://www.academia.edu/38338199/Miserere_nobis_Cappuccini_in_Salento_pdf
Su L’Idomeneo v. http://siba-ese.unisalento.it/index.php/idomeneo
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https://www.antiquarius.it/it/puglia/6892-provincia-barii-cum-confinijs.html
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Sulla storia dei Cappuccini a Cisternino, della Chiesa di Sant’Antonio (parrocchia di San Giuseppe) e relativa suppellettile, e del convento dei Cappuccini di Cisternino
https://comune.cisternino.br.it/contenuti/33425/chiesa-s-antonio-convento-cappuccini
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https://www.lexiconcap.com/index.php/it/?view=article&id=530:bari-provincia&catid=12
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https://catalogo.beniculturali.it
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FRANCO PAOLUCCI, Relazione sul restauro della chiesa di San Giuseppe, Cisternino 20/09/1994.
SAVERIO OSTUNI, Cisternino. Chiese. Antiche tradizioni, Monopoli 2000, pp. 115-132.
Agenda Cistranese 2000, a cura del Comune di Cisternino, Ed. Itria Oggi
QUIRICO VASTA, 77 Carbonari a Cisternino, Monopoli 2017.
Sull’ospedale di Cisternino e le opere assistenziali
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Sul dottore Nicola Lagravinese
https://it.wikipedia.org/wiki/Nicola_La_Gravinese
Nicola Lagravinese. Chirurgo primario, a cura di Francesco Zippitelli, Tip. F.lli Zonno, Bari 1975
RIFERIMENTI ARCHIVISTICI
Archivio capitolare della Chiesa Madre San Nicola di Cisternino. Registri di Battesimo n. 6 dal 1723 al 1761
Archivio del convento dei Cappuccini e dell’ospedale vecchio conservato nella sagrestia della Chiesa di San Quirico a Cisternino
FONTI
Lexicon Capuccinum, col. 409, p.29
Chorographica
Descriptio Provinciarum et Conventum , atlante dell’ordine dei frati cappuccini:
Mappa della provincia di Bari di Giovanni Montecalerio, Roma 1649
Mappa della provincia di Bari di Giovanni Battista da Cassine, Bari 1712.
Platea legale o sia campione di tutti i stabili di campagna che possiede questo reverendissimo capitolo della città di Ostuni, dell’agrimensore regio ingegnere di Ostuni Michele Ciraci realizzò dal 1794 al 1800.
Il Progetto di educazione alla cittadinanza attiva Apprendisti Ciceroni® Raccontiamo il nostro Territorio è realizzato dalle studentesse e dagli studenti del Liceo di Cisternino “don Quirico Punzi” e dalle docenti Angelita De Pascale, Cinzia Palazzo, Filomena Vignola, Vittoria Magno.