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L’estate Covidiana

Intervista al dott. Giovanni Canzio

L’estate pandemia di Covid-19

Rivolgiamo qualche domanda al nostro Caposervizio Salute dott. Giovanni Canzio che in questi mesi è stato un attento divulgatore di notizie riguardo la pandemia di Covid-19.

Al momento qual è la situazione clinica della pandemia in Italia e in Puglia? Possiamo veramente sperare in un prossimo futuro senza le paure della primavera scorsa?

«Domanda sibillina a cui nessuno può dare una risposta certa. Ormai il mondo è diviso in due. Vi sono scienziati che ipotizzano da noi una seconda ondata in autunno-inverno, altri che osservano che il virus è mutato e, pur di fronte a una contagiosità elevata, le manifestazioni cliniche gravi sono in nettissimo calo.

Il mondo è diviso in due anche tra chi ha paura e non esce di casa e chi ha la mascherina nella tasca dei pantaloni da maggio senza mai usarla. Tra chi è costretto dalle norme vigenti a tagliare i capelli con maschera, guanti e visiera di plastica e chi allenta le norme  permettendo feste patronali e sagre. Chi fa la fila all’esterno dei servizi pubblici sotto il sole a 35 gradi con la mascherina e chi si “assembra” senza alcun controllo. Un mondo schizofrenico che rispecchia le enormi difficoltà di una politica e di una sanità a loro volta schizofreniche».

Pensi quindi che vi sono comportamenti a rischio?

« Fortunatamente non sono né un politico e né un epidemiologo. Il primo deve “apparire” come il salvatore dalla pandemia e comunque raccogliere voti per le prossime elezioni cercando di   accontentare un po’ tutti.  Il secondo deve rafforzare la propria immagine  prima di scomparire nel profondo anonimato in cui ha sempre lavorato in passato. Comportamenti a rischio? Sarà il tempo a dirlo.  Certo è che tanti profetizzavano una nuova catastrofe dopo la fine del lockdown e con l’arrivo di persone provenienti da regioni ad alta circolazione virale. Nulla di tutto ciò è accaduto».

Politici ed epidemiologici-virologi hanno dovuto comunque affrontare una catastrofe mondiale che non ha precedenti e senza alcun preavviso. Va dato atto che hanno fatto del loro meglio di fronte a un dramma sociale e sanitario.

l’estate pandemia di Covid-19

«Nessuna accusa va rivolta in una situazione così drammatica. Ma un’analisi retrospettiva va fatta per evitare errori futuri. Si evince chiaramente che molti Paesi, tra cui l’Italia, erano del tutto impreparati ad affrontare situazioni del genere. Il piano pandemico previsto per ogni stato non era aggiornato, ma, fatto gravissimo, la protezione civile e gli assessorati alla salute delle regioni erano del tutto privi di scorte di dispositivi di protezione, non solo per i cittadini ma anche per gli operatori sanitari.

Questa carenza di protezioni nella fase acuta della pandemia è stata drammatica, con molti decessi (personale sanitario soprattutto) da imputare alla negligenza della politica. Anche la sanità ha fatto la sua parte con inspiegabili e gravissimi errori di diagnosi in Lombardia da dicembre e febbraio. Il top della sanità mondiale che non ha voluto e potuto vedere centinaia di casi di polmonite da coronavirus ricoverandoli in reparti normali e provocando un danno immenso».

Come è possibile che in Lombardia nessuno ha fatto diagnosi di Covid prima dell’esplosione del caso Lodi? 

«Ho sentito molti colleghi e letto molto in merito. Si sono incrociate molte situazioni come le assurde indicazioni del governo che in un primo tempo indicavano come soggetti a rischio solo coloro provenienti dalla regione di Wuhan. Pur con la chiusura dei voli dalla Cina, migliaia di imprenditori del Nord raggiungevano Bergamo e Milano, provenienti dalla Cina, con tappe intermedie o con voli privati con scalo in Svizzera.

Mentre i nostri media giornalmente ci parlavano degli unici casi di Covid in Italia (i due coniugi cinesi ricoverati a Roma allo Spallanzani), in Lombardia e regioni vicine i casi erano centinaia con diffusione a tappeto. La sanità lombarda è una mega azienda ad alta partecipazione privata che si basa su un verbo: RICOVERARE. La medicina del territorio è praticamente inesistente e i medici di famiglia relegati a burocrati. Immaginate che hanno affidato ai privati anche la gestione dei pazienti cronici a casa. Molti medici di famiglia hanno segnalato numerosi casi di febbri strane ma sono stati inascoltati».

In Puglia la gestione è stata diversa. Siamo riusciti a evitare una situazione tipo Lombardia.

«Più che la gestione diversa è stata un’altra pandemia. Se non partiamo da questo presupposto non si comprende quanto accaduto. In Italia abbiamo avuto tre tipi di pandemia: una lombarda, una delle regioni vicine (Veneto, Emilia, Piemonte) e una del centro-sud Italia. Noi abbiamo vissuto una situazione ben diversa e meno drammatica. Vi sono comuni in Puglia che non hanno avuto nessun contagio e Cisternino solo uno ogni 1000 abitanti.

Estrapolando il dramma personale delle famiglie che hanno perso i due congiunti, a Cisternino la situazione non è lontanamente paragonabile a quella vissuta in alcune province lombarde. In realtà la regione Puglia ha commesso gravi errori strategici nella prima fase manifestando incapacità e carenze, tra le quali la scelta del Perrino come ospedale misto Covid-non Covid si è rivelata drammatica. L’assenza di un assessore alla salute (delega rimasta sempre in mano al Presidente) si è fatta sentire come la mancanza di un piano di emergenza rapido coordinato con l’Università di Bari e con L’Osservatorio Epidemiologico Regionale. Abbiamo dovuto aspettare la nomina di un capo della task force pugliese prelevandolo dall’Università di Pisa (pur di origini pugliesi)».

Per quanto riguarda invece la gestione del Covid a Cisternino, come la valuti? L’altro giorno, durante l’incontro nella villa comunale per la festa di Porta Grande e per il nuovo giornale, hai espresso perplessità sul nuovo Ospedale di Comunità al posto del post-Covid chiuso un mese fa.  

«Per la gestione della pandemia a livello locale, un plauso va fatto ai volontari che hanno dato un contributo notevole durante la fase del lockdown. Per il resto le amministrazioni e i sindaci poco potevano fare in quanto dovevano attenersi in maniera rigorosa alle norme dei DPCM e delle ordinanze regionali. In realtà la nostra amministrazione qualcosa in più l’ha fatto cedendo alla ASL il piano terra della nuova Casa della Salute (centro diurno Alzheimer) per creare un ospedale post-Covid come da indicazione regionale, vista la non adeguatezza della vecchia struttura a tale compito. Approfittando di tale occasione, ha ritenuto di proporre alla ASL il trasferimento al più presto in tale sede dell’Ospedale di Comunità, dopo nuovi lavori che dovrebbero essere attualmente in corso».  

l’estate pandemia di Covid-19

La comunità dovrebbe essere felice per questo sblocco della situazione riguardo una struttura da anni abbandonata.
estate pandemia di Covid-19

l’estate pandemia di Covid-19

«Felicissimi tutti. Da anni chiedevamo  il trasferimento nella nuova sede di tutti i servizi (con il nuovo Ospedale di Comunità al piano di sopraelevazione già previsto da tempo). Il Sindaco ci rispondeva in ogni Consulta che non era possibile perché non c’era la strada di accesso e l’ASL non avrebbe mai autorizzato né il trasferimento e né i lavori di sopraelevazione.

Poi è arrivato il Covid che ha permesso tutto. Ha permesso di spendere centinaia di migliaia di euro per ospitare solo 11 ricoverati post-Covid senza che la Corte dei Conti possa mettere il naso. Ora che l’emergenza è finita bisognerà spenderne altri per adeguare e autorizzare la struttura. Il risultato può essere letto come si vuole: avremo un ospedale di Comunità con soli 11 posti letto (invece dei 16 previsti) e senza una vera palestra di riabilitazione che dovremo adattare nella sala ricreativa. Soprattutto, sarà provvisorio, in attesa di una nuova struttura, sopra o  adiacente, che deve essere ancora valutata e progettata. In più il comune ha perso l’unica struttura socio-sanitaria nuova che aveva a disposizione avendola offerta all’ASL. Queste però sono scelte politiche che vanno rispettate e che i singoli cittadini possono valutare in sede elettorale.

Ancora una volta lavoreremo in uno stato di precarietà e provvisorietà. Quello che ancora nessuno ha compreso è che l’Ospedale di Comunità non è un obbligo per i medici di famiglia ma una scelta faticosa, rischiosa e poco conveniente, tanto che trova enormi difficoltà a decollare in moltissimi comuni. Pensare che qualcuno di noi abbia interessi particolari è pura follia mista a malafede.  Io non sono per la cultura dell’immagine e delle parole ma dei fatti. E ognuno di noi ha alle spalle una vita personale e professionale che racconta».  

L’estate pandemia di Covid-19

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