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COVID-19 IL PUNTO DELLA SITUAZIONE

Cosa abbiamo imparato in questi due mesi di lotta contro il coronavirus

Canzio
dott. Giovanni Canzio

1) La sua contagiosità è molto alta, a detta di tutti gli esperti, ma se guardiamo i dati (al 14 aprile), i soggetti contagiati in Italia sono meno di 3 ogni mille persone.

L’influenza stagionale, secondo i dati del ministero della Salute, infetta ogni anno mediamente 100 italiani ogni mille, tenendo conto anche che esiste un vaccino molto efficace, usato da 10 milioni di soggetti di cui la metà di tutti gli ultra 65enni.

Se prendiamo i dati ufficiali solo dell’Italia centro-meridionale parliamo di 35.000 contagiati contro i 60.000 della sola Lombardia. Molte cose non tornano.

È anche vero che i dati del contagio da coronavirus sono sottostimati, ma non sappiamo di quanto. I contagiati certificati da tampone in Italia sono 162.000, ma in realtà? Chi parla di moltiplicare per 2 e chi per 10 ma non è possibile usare la ricerca diretta del virus mediante tampone per un’indagine epidemiologica.

Non solo perché tecnicamente complesso e limitato, ma anche perché fotografa solo il momento e non lo stato immunitario del soggetto.

Quindi, senza uno studio a tappeto della popolazione con la ricerca degli anticorpi nel sangue, tutti quei grafici e quei dati che vedete ogni giorno hanno un valore limitato.

Per cui ne deriva che è ancora più limitato il valore delle scelte sanitarie e politiche basate unicamente su questi dati.

2) Covid-19 sta per malattia provocata dal coronavirus pandemico. Stiamo imparando che, in realtà, più che una malattia, è una sindrome infettiva (se i virologi mi permettono questa licenza scientifica) ossia un insieme di sintomi, spesso molti variabili, che sono in comune con molte altre malattie.

Se la febbre, la tosse, i dolori muscolari e la stanchezza sono i sintomi più frequenti, non mancano espressioni cliniche diverse come diarrea, congiuntivite, raffreddore, perdita dell’olfatto e gusto a insorgenza improvvisa, allucinazioni, aritmie cardiache.

Tante persone contagiate, soprattutto giovani, non hanno sintomi. Il decorso del Covid-19 può essere quindi asintomatico, lieve, grave o critico.

Negli ultimi due casi la complicanza più frequente è la polmonite interstiziale che può evolvere verso il decesso anche con l’assistenza respiratoria. Ma il Covid-19, come tante altre malattie infettive, è un patologia sistemica che nella fase febbrile e nella fase della cosiddetta  tempesta citochinica, colpisce tutti gli organi con alterazioni delle funzioni vitali dell’organismo.

Tenere il paziente a casa con febbre alta per lungo tempo significa consegnarlo ai ventilatori in condizioni di grave ipercoagulabilità, insufficienza renale e miocardite,  per cui l’ossigeno a pressione non è sufficiente a salvare la vita.

Se poi il paziente è già fragile e con patologie croniche in atto, rischia il decesso senza arrivare alla polmonite conclamata, come spesso avvenuto nelle case di riposo.

3) Non ci sono farmaci specifici per il coronavirus, per cui ci si è attrezzati, spesso per uso compassionevole, a testare sui pazienti farmaci già presenti sul mercato per altre indicazioni.

Dalla malaria all’artrite reumatoide, dall’AIDS al virus Ebola, alla luce di presunti meccanismi antivirali e antinfiammatori. Difficile trarre conclusioni dopo un periodo così breve di trattamento e osservazione; quindi andiamo molto cauti nel giudizio e lasciamolo ai clinici e non ai giornalisti.

Abbiamo però imparato che questa infezione si manifesta con fasi diverse sequenziali: contagio – incubazione – fase viremia – fase infiammatoria. Ognuna di queste fasi può trarre giovamento da un farmaco diverso e quanto prima si interviene tanto meno si ricorre all’ospedale.    

4) Non esiste la malattia infettiva in assoluto. Esiste l’espressione della malattia in ogni singolo individuo che è il risultato della interazione tra ospite e microrganismo.

Lo stesso germe può provocare in soggetti diversi espressioni differenti di malattia: dal banale raffreddore alla morte. Dipende dalla carica infettante del germe (non basta certo un singolo virus a provocare il Covid) e dalla sua virulenza, ma dipende anche  dallo stato immunitario pregresso del soggetto, dall’età e forse dal sesso, dalle malattie concomitanti e da fattori genetici ancora non identificati.

(Su questo punto vorrei smentire il mito delle difese immunitarie scarse, in soggetti giovani e sani, come causa di tutti i mali.

Questa pandemia ci ha insegnato anche che le difese immunitarie esagerate possono portare a danni altrettanto irreparabili).

Ma esiste un terzo elemento che incide sul decorso e l’esito della malattia: l’ambiente.

Per ambiente intendo i servizi sanitari presenti sul territorio, il livello socio-economico e l’affollamento. Avere una polmonite a Bari non è la stessa cosa che averla in un campo profughi della Siria.

Eppure questo coronavirus ci ha aperto orizzonti nuovi di studio, visto che la metà dei casi italiani è avvenuta nell’area del paese a più alto livello sanitario e socio-economico.

Poco o nulla sappiamo di quanto accade nelle aree più povere del pianeta, ma l’età media molto giovane potrebbe essere un notevole freno alla malattia conclamata e una spinta all’immunità di gregge naturale.  

La bella notizia (anche in Puglia) è il crollo dei ricoveri in terapia intensiva a fronte di un aumento dei casi in isolamento domiciliare.

Avremo meno decessi e più guariti-immunizzati liberando così le strutture ospedaliere.   

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Cisternino 14/04/2020

Dott. Giovanni Canzio

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