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COVI DI COVID

Un dato emerge evidente a un mese dall’inizio ufficiale della pandemia italiana: sono stati colpiti prima e in misura maggiore le regioni più ricche e con un servizio sanitario più forte e complesso. Un secondo dato è il sostanziale fallimento degli esperti (virologi, epidemiologi, igienisti) che, di fronte a un evento inatteso ma perfettamente prevedibile in riferimento alla loro professione, hanno mostrato ampie divergenze di vedute. Se la bassa Lombardia è tuttora il focolaio mondiale più attivo, va attribuito a vari cofattori. Uno è certamente la ricchezza del suo tessuto industriale e i contatti con l’estero. Un aeroporto internazionale tra i più attivi in Europa (Orio al Serio). Soprattutto una sanità al top nel mondo. Bergamo e provincia hanno una struttura sanitaria tra pubblico e privato che noi non riusciamo nemmeno a percepire. Appena più grande di Brindisi, Bergamo ha uno dei più grandi ospedali d’Europa in termini di grandezza e qualità dei servizi (Giovanni XXIII) con ben 1100 posti letto a cui si affiancano almeno altri 1000 posti letto di strutture convenzionate (Humanitas Gavazzeni e  Castelli – Palazzolo- San Francesco, etc). In provincia vi sono due Policlinici (San Pietro e  San Marco) e ospedali pubblici nelle aziende sociosanitarie di Seriate e Treviglio con ben 1500 p.l. Immaginate che un paesino di 13.000 abitanti, come Alzano Lombardo (nelle cronache epidemiche), ha un ospedale con 230 posti letti. Se entriamo nel campo assistenziale (RSA, RSSA e case di riposo) i posti letto salgono a molte migliaia, nemmeno lontanamente paragonabile alle situazioni esistenti nelle regioni del Sud.  In questo contesto di supersanità il virus colpisce a fondo. La storia di questa pandemia scriverà degli errori commessi a ripetizione ma la sfrontatezza della sfida del virus ai massimi sistemi sanitari è emblematica. La deduzione più logica è che questi sistemi complessi, costruiti come un megaindustria della salute, basate molto più sulle patologie che sull’individuo e orientate alla massimizzazione dei profitti, non ha visto o non ha voluto vedere l’effetto più eclatante: i sistemi sanitari sono i maggiori diffusori del virus, servendosi degli operatori sanitari, vittime e untori involontari. I reparti, i PS, gli studi dei medici di famiglia, i servizi di emergenza, sono diventati “Covi di Covid”, poi trasportati a casa presso le proprie famiglie e presso i contatti personali. L’unica arma che oggi abbiamo per resistere è quella dei secoli scorsi: il distanziamento sociale. Esattamente il contrario di quello che accade negli ospedali  e nelle case di riposo che, a causa della fragilità dei ricoverati,  stanno diventando vere tombe sociali.  L’OMS, il Consiglio Superiore di Sanità, i professoroni universitari…. possibile che nessuno abbia avuto l’idea che il problema è nascosto lì…. dove  si pensava di risolvere i problemi? Nelle strutture sanitarie. Come si fa a non immaginare di testare tutti gli operatori sanitari con regolarità e allontanarli dal servizio quando positivi? Come condannarli, senza alcuna pietà, ad essere una costante minaccia per la propria salute, della propria famiglia e di tutti pazienti?

In questo poco rassicurante scenario, aspettiamo che il contagio latente faccia il suo corso, al di là dei numeri giornalieri da bollettino di guerra che non rappresentano alcuna realtà (se non i decessi ufficiali, i reali sono ben altri). La Puglia ha adottato un suo piano regionale per far fronte alla pandemia e al suo picco massimo di sintomatici, nominando come responsabile del coordinamento epidemiologico  il prof. Pier Luigi Lopalco, mesagnese di origine, ordinario di Igiene a Pisa e proveniente dalla nostra università barese. Il professore, molto equilibrato nei giudizi, ha recentemente avvalorato l’ipotesi che “Da un punto di vista sanitario, preoccupa di più la situazione negli ospedali che il rientro di 23mila persone”. Il caso del modernissimo ospedale di Altamura insegna: ben 35 contagiati (21 dipendenti e 14 pazienti in un colpo solo).  Quindi non si comprendono bene le disposizione della regione Puglia che vuole disseminare sul territorio pazienti COVID-19 ancora positivi, in strutture territoriali (PTA) a volte non in grado di sostenere un impatto simile.

Per questo ho espresso una richiesta di valutazione di rischio sulla nostra struttura (12 pl di Ospedale di Comunità) che è stata svuotata in attesa di ricoveri COVID-19 in fase di guarigione. L’ideale sarebbe localizzare in poche strutture dedicate anche la fase post-Covid e non “trasportare” il virus in microstrutture territoriali che si occupano di tutti i servizi sanitari dei cittadini (ambulatori, prelievi, vaccinazioni, front-office).

Il PTA di Mesagne ha già risposto con i primi ricoveri ma anche con dei rapidissimi lavori di adeguamento della struttura per rispondere ai requisiti richiesti da un reparto di pazienti ancora contagianti. Ricordiamo però che Mesagne, Ceglie e Fasano hanno strutture ospedaliere vere e proprie, day service,  sale operatorie, medici strutturati interni e specialisti di ogni branca. Cisternino al momento non è in grado di ospitare nessun COVID-19, però lasciarlo vuoto, mentre i nostri cittadini stanno morendo a casa per patologie croniche che abbiamo sempre affrontato con dignità e sicurezza in questi 20 anni di Ospedale di Comunità, ci sembra una vera follia. 

Cisternino 28/03/2020

dott. Giovanni Canzio – Cisternino

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